Machinima

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    Hastatus

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    Iniziai a pensare che i miei veri nemici, in quella partita, fossero glutine e grassi.
    - Tonno e insalata – gracchiò un clochard che non si lavava probabilmente da qualche settimana, ma aveva avuto la cura di pettinarsi i capelli indietro e raccoglierli in una coda.
    Una ciabatta di pane da cui facevano capolino una foglietta verde e un lembo rosato, ben visibili sotto la pellicola trasparente, fu passata al clochard.
    Sentii distintamente le sue unghie artigliarmi i guanti, mentre prendeva il malloppo.
    - Uovo, salame e maionese, per favore – mi disse con voce flautata un vecchietto con la coppola e la sciarpa rattoppata.
    Afferrai una seconda ciabatta dalla piccola piramide sulla mia destra e gliela passai.
    - Grazie – rispose a quel gesto e io mi sentii perfino in vena di sorridergli.
    Dal modo in cui gli angoli della mia bocca tiravano, supposi che il mio sorriso sembrasse più una colica e smisi istantaneamente di provarci.

    Aracoeli, stai facendo buoni progressi in termini di EXP. Resisti. So che è alienante, ma pensa a quante persone stai aiutando a procacciarsi il cibo. suggerì con un tono caldo e incoraggiante Joseph nella mia testa.

    Perfino in quell’occasione mi suonò la frase utilitaristica di una creatura ben più potente di me (con potere di vita e di morte su di me, per la precisione) che cercava di manipolarmi. Mi diede i brividi.
    La pelle d’oca percorse le mie braccia mentre l’aria di un tardo autunno italiano mi suggeriva di coprirmi con ben più che una maglietta a maniche lunghe, la prossima volta. Se non altro avrei potuto iniziare a mettermi dei cappelli e a non rischiare a ogni sussulto della fronte che quel mio terzo bulbo oculare fosse rivelato con facilità.

    Stavo solo cercando di essere gentile! esclamò Joseph.

    Tonno e insalata. Tonno e insalata. Prosciutto cotto e mozzarella. Uovo, salame e maionese. Tonno e insalata. Prosciutto cotto e mozzarella.
    Quella sarebbe stata la mia fine? Dare panini per beneficenza e mantenere un profilo basso? Ero stata un messia nella mia vita precedente per concludere in gloria e glutine?
    Tonno e insalata. Prosciutto cotto e mozzarella. Tonno e insalata.

    Aracoeli, questa è vanità! mi rimbrottò Joseph, ma sapevo che era più canzonatorio e meno ammonitorio di quanto avrei pensato durante la mia vita su Marte.
    Mi veniva da ridere pensando a come avrei reagito, in quel contesto, con quelle conoscenze, con quella forma mentis al suono di una voce calda, impersonale e ammonitrice nella mia testa. Probabilmente mi sarei messa a piangere e strillare e sarei corsa dal primo sacerdote che potesse confessarmi, all’accampamento o al tempio più vicino.
    “Un’ammonizione da Dio in persona!” avrei pensato “Sono condannata alle pene dell’inferno e a non poterLo mai vedere! Devo assolutamente rimediare”.
    Udii i rantoli di Joseph che stava cercando evidentemente di non ridere all’idea di una Aracoeli più integralista e ignorante che correva a gambe levate.
    Tonno e insalata. Prosciutto cotto e mozzarella. Uovo, salame e maionese. Mi scusi, abbiamo terminato tonno e insalata. Sì, lo so, una bella grana, ma guardi com’è saporito questo salame milanese. Non le piace? Un leggerissimo prosciutto cotto e mozzarella? Perfetto, buona serata.
    A contribuire allo sconcerto e all’ansia della monotonia c’era anche un’ansia peggiore: il Doctor ci aveva preannunciato che qualche vicino aveva iniziato a fare domande scomode. Si trattava dei vicini buoni, quelli che si interessavano solo per genuina curiosità o sincera preoccupazione, ma qualora la cosa avesse dovuto riverberarsi anche sulla parte cattiva del vicinato, avrebbero potuto essere cazzi.

    È sempre molto divertente sentire un paladino che impreca, seppur nella propria testa.

    Ti hanno mai detto che sei fastidioso, Joseph?

    Molto spesso, sì. Non quando ero una creatura mortale, tuttavia. All’epoca era già tanto che spiccicassi parola.

    Straordinario!

    Vero?

    Dove saremmo andati, senza la protezione del Doctor? Un uomo territoriale, amaro verso l’umanità e poco propenso alle chiacchiere come lui non si sarebbe smanicato per trovarci un’altra sistemazione, ma forse avremmo potuto far leva sulla ricerca.

    Ricorda che è a un punto morto. Vi ha analizzato in ogni minima parte, ma non ne sta ricavando niente. Potrebbe ben presto scocciarsi e non so cosa potrebbe spingerlo a continuare. incalzò Joseph.

    Prosciutto cotto e mozzarella. Salame e uovo. Prosciutto cotto. Prosciutto cotto. Salame. Il tonno è finito, signore, mi dispiace. Diciamolo a tutta la fila, altrimenti arrivano qui e perdono tempo per scegliere.
    Un guanto bucato. Delle unghie sporche. Una mano pulita e morbida. Una manicure rossa impeccabile. Una mano dalle nocche tonde e una dalle nocche asimmetriche. Il dorso di una mano piena di cicatrici ondulate. Delle volte era un semplice sfiorarsi, altre dovevo sfuggire alle loro artigliate e altre ancora non c’era neanche un contatto.
    Spesso non li guardavo neanche. Mi sentivo mortificata dal mio avere pasti caldi, una sicurezza di arrivare al giorno seguente e contemporaneamente invidiare la loro condizione di pedine non giocanti. Loro potevano ignorare l’infinito susseguirsi di partite tra Dio e diavolo.
    Io no.
    Ero ormai consapevole di ciò che sarebbe venuto.
    E non per anni.
    Ma per l’eternità.
    Prosciutto cotto. Salame. Salame. Salame. Il salame era in recupero. Avrebbe superato l’avversario prosciutto cotto?

    Dio, è questo il destino che hai deciso per me? pensai in preda alla frustrazione.

    Sì. rispose secco Joseph.

    Sta’ zitto! Non sei il vero Dio! lo rimbeccai mentalmente io.

    Noi siamo tutti parte della Trinità, e questo lo dovresti sapere bene, paladino che non si ricorda le basi teologiche della propria religione!

    A me era stato insegnato che nella Trinità c’erano Padre, Figlio e Spirito Santo, consustanziali, uno e trino. Non che c’erano Joseph e Miriam. Mai sentiti nominare!

    Le realtà trascendenti vengono percepite e trasmesse con variabili e costanti. Una Maria c’è anche nella tua religione e Giuseppe è suo consorte.

    Non entrare nei dettagli dell’Immacolata Concezione, potrei non volere i particolari della vita amorosa di Dio e Miriam.

    Aracoeli, smettila di pensare cose ad hoc per farmi arrabbiare. É puerile. Adolesc...

    Ma Joseph non finì mai quella frase.
    - Tonno e insalata – disse il vagabondo dall’altra parte del banchetto.
    Repressi l’impulso di rovesciare gli occhi e risposi, con tutta la pazienza che non avevo mai avuto in due esistenze assieme:
    - L’abbiamo finito, il panino col tonno e l’insalata, ma se vuole c’è… -

    ARACOELI, COSTUI È UN DEMONE! rimbombò Joseph nella mia testa.

    D’istinto fissai chi avevo di fronte.
    Passarono dieci secondi preziosi prima che potessi collegare ciò che mi aveva appena detto il giocatore nella mia testa e ciò che la cosa comportava.
    L’uomo era parzialmente girato, come per guardarsi intorno o cercare qualcuno (chi potrebbe mai cercare in una mensa per i poveri?). Era di costituzione media e dovevo sollevare un po’ lo sguardo per fissarlo in volto, il che voleva dire rasentare il metro e ottantacinque. Dalla porzione di viso che gli vedevo in tralice, potevo scorgere delle rughe d’espressione ben calcate nella pelle attorno ad occhi e bocca, quindi supposi si assestasse sui quarant’anni.
    La mano era callosa. Era abituato agli sforzi fisici, forse.
    Sommando tutti quegli elementi, stimai che fosse per me una minaccia alta: la mia unica speranza, fino al livellaggio che avevo raggiunto, era di battere gli avversari fisicamente e rapidamente, prima che si rendessero conto della mia identità. Non avevo vere abilità d’attacco. Solo un bulbo oculare extra.
    Dovevo fare affidamento, per difendermi, sul semplice allenamento di Tagliaretti. In pratica l’unica cosa su cui potevo contare era anche ben facilmente soverchiabile da una persona di quella statura, costituzione e salute.
    Era sbarbato, poi. E c’era un velo sottilissimo di profumo che promanava dal suo collo. Tra i capelli grigi intravidi una ricrescita castano ramata, come se si fosse tinto in precedenza e il suo colore naturale stesse emergendo dal cuoio capelluto. I vestiti che portava erano rattoppati e consunti sulle maniche, ma poco stropicciati, come se li avesse indossati da poco.
    Anche senza l’avvertimento di Joseph, con un’osservazione più attenta di quella che mi stavo concedendo durante il mio noioso compito di beneficenza, mi sarei resa conto che qualcosa non andava in quella persona e che si stava fingendo o si era finto qualcuno di ben diverso.
    Prima di scongelarmi da quella posizione di stallo, una serie di pensieri di seguito mi folgorò le capacità di rielaborazione.
    In primo luogo il fatto che la Trinità non fosse né così onnisciente né così onnipotente come avevo ipotizzato. Joseph si era accorto solo quando il mio palmo aveva sfiorato quella di quell’uomo che avevo di fronte un demone. Non era neanche la prima volta che capitava: dagli Evangelici un demone era stato in grado di aggredire e addirittura uccidere Santiago prima che qualcuno si accorgesse che qualcosa non andava. Perfino la Trinità era in grado di distrarsi? Su una materia delicata come il sondare le presenze demoniache nei dintorni?

    Aracoeli, sono migliaia di persone che monitoriamo in ogni secondo che vi si accostano. Mentre abbiamo altri compiti o stiamo guardando le altre pedine è ovvio che la nostra attenzione si abbassa. sembrò giustificarsi Joseph.

    È la cosa più importante che dovete fare, preservare le vostre pedine, nonché uno dei pochi vantaggi che abbiamo sui demoni e tu mi dici che vi distraete?! A che stavi pensando? Alla fregna?!

    I paladini sono simpatici fin quando non imprecano contro di te... soggiunse amaramente Joseph.

    Il vagabondo si era girato a guardarmi.
    Le sue guance e il mento erano coperte da una debole barba del pomeriggio che gettava ombre grigiastre sulle rughe ai lati della bocca. In quella coltre rada notai dei fili color rame.
    Lo sguardo era perplesso: le sopracciglia creavano una specie di arco discendente e gli occhi andavano prima alla mia mano e poi alla mia faccia, alla ricerca di una risposta a quel congelamento. Notai che le sue iridi avevano pagliuzze dorate: non troppo rare in alcuni occhi color nocciola, ma sospetti alla luce di ciò che aveva percepito Joseph.
    Non aveva nulla dello splendore dei demoni che avevo visto su Marte. Non aveva l’arroganza. Non aveva la favella. Non ne aveva il fascino.
    Era un vagabondo, come tanti se ne vedevano a Roma.

    “Sulla Terra il buono e il cattivo convivono nella stessa persona e Gog e Magog non sono barricate diverse, ma si mischiano, si ibridano, si amano e si odiano...”

    Quanti demoni ci erano passati accanto? Quanti ci stavano già osservando? Avevamo rinunciato a tante libertà e acquisito un basso profilo per nulla?
    E intanto non mi muovevo e il vagabondo era passato dalla perplessità a un’aperta espressione di incredulità, con le labbra sottili schiuse:
    - Mbeh? - mi ingiunse il demone.

    Non osare farmi “mbeh?”! pensai indispettita.
    Cionondimeno non osai muovere un solo muscolo facciale: mostrare ostilità avrebbe potuto renderlo guardingo; mostrare terrore avrebbe potuto metterlo sull’attenti; mostrare qualsiasi tipo di emozione umana avrebbe potuto semplicemente firmare la mia condanna a morte.
    Notai il sopracciglio destro del mio interlocutore aggrottarsi.
    Istantaneamente una familiare sensazione di essere violata nella mia testa fece scattare cento allarmi in contemporanea.
    Con l’altrettanto quotidiana immagine di una saracinesca piena di tette, immaginai di occultare i miei pensieri.
    Pensai all’Egiziaca nel vecchio corpo. Pensai a Cassandra. Pensai a tutte le donne che avevo desiderato in vita mia e perfino alla dea degli infedeli, quella Cibele con decine di mammelle che si venerava in Oriente.

    Sono ancora perplesso e basito dalla tua capacità di occlumanzia a base di immagini improprie si complimentò Joseph.
    Sta’ zitto, idiota!
    Oh, avevo dato dell’idiota a un TETTETETTETETTETETTETETTETETTE.
    Il vagabondo rimase a labbra schiuse, con un sopracciglio basso e uno alto, afferrò dubitosamente il panino e mi lanciò un’ultima occhiata. Lessi nelle sue iridi, sì, confusione, ma anche un po’ di disprezzo. Forse aveva pensato che fossi una folle schizofrenica o con doppia personalità. O che avessi la Sindrome di Tourette.
    Tanto meglio.
    Lo vidi allontanarsi e solo quando la sua nuca con una spruzzata di castano ramato fu a circa dieci passi iniziai a tirare un sospiro di sollievo e a sollevare la barriera di tette.
    Si girò un’ultima volta a fissarmi, sbattendo le palpebre come appena destato da un sogno parecchio strano, poi scrollò le spalle e se ne andò.
    Riprese a guardarsi intorno e la sensazione che stesse cercando qualcuno tornò a farsi strada tra le mie ipotesi. L’idea che quel qualcuno potessi essere io mi terrorizzava fino al midollo.
    Sentivo la schiena sudata che si raffreddava con l’aria frizzantina di Novembre; sentivo le dita che mi tremavano e un principio di cedimento sullo sfintere che prontamente dominai.

    Ci è mancato cazzo poco! Troppo poco! Perché quegli altri due scopatori di cherubini mi lasciano sempre da solo a fare le cose?! imprecò nella mia testa Joseph.

    - Calithea, ma stai bene? - mi chiese Artemisia con una mano gentile e rugosa sulle spalle.
    Quel semplice tocco ebbe il potere di quietare il mio terrore.
    Rimase solo l’accresciuta percezione di aver rischiato grosso e che avremmo dovuto parlare con gli altri di cosa fare.
    - Sì! - esclamai io, forse troppo sonoramente perché tutti sobbalzarono.
    - Vuoi fare una pausa, cara? - ingiunse ancora la dolce Artemisia e mai come in quel momento mi sentii coccolata da una nonna.
    - Sì! - esclamai, di nuovo troppo forte perché gli altri non finissero a pensare che fossi ritardata.
    O che avessi problemi psicologici. O qualche parentela con i pavoni, che strillavano all’improvviso come se avessero il diavolo alle calc…
    Ha.
    Hahaha.
    HAHAHAHAHAHAHAHA.
    Stava per sopraggiungere una crisi isterica e mi precipitai al cesso.
    Mi liberai completamente l’intestino, ridendo. Tirai lo sciacquone, ridendo. Mi lavai tutto, ridendo.
    Mentre di fronte allo specchio notavo di non riuscire a controllare più le palpebre ed evitare di avere gli occhi sgranati e la risata stridula, Joseph mi chiese, preoccupato:

    Aracoeli, stai bene?

    No, per Dio, no! Mi sono reincarnata in un corpo inadatto al combattimento e pur essendo una delle pedine d’attacco del nostro schieramento, non ho comunque abilità per far del male ai demoni. Ho mantenuto un bassissimo profilo, facendo un lavoro ingrato, noioso e alienante, in cui solo nominalmente ho aiutato le persone di questo mondo e che ha rischiato di farmi beccare non so quante volte. Ho scoperto grazie alla tua asettica spiegazione che siamo condannati a fare questa guerra per gioco ciclicamente, in una serie di universi con regolamenti, ambientazioni e personaggi diversi e che io non sono che una piccola marionetta e devo pure farmi stare bene questa condizione eterna. Dulcis in fundo, oggi mi trovo un demone a distanza di scorreggia e devo anche mantenere la calma?!

    Ammirai la mia stessa forza di non urlare quelle parole e di riuscire a mantenerle in una conversazione mentale. Mi sarei data il cinque da sola per il mio autocontrollo se non avessi già rischiato di farmi prendere per pazza e rischiare così di perdere l’ultima occasione di livellaggio, per quanto ingrata, che quel mondo aveva da offrirmi. La direttrice della mensa, se mi avesse vista battermi i palmi da sola o stringermi le mani da sola, non ci avrebbe pensato su due volte prima di sbattermi fuori. O quello Stefano? Nessun dubbio che sarebbe sgattaiolato da lei a dirle “Ehi, hai presente la tizia strana? Ecco, ne ha fatta una delle sue. Secondo me è meglio che non venga più!”. Anzi, avremmo potuto anche decidere noi stessi di non farlo più, dal momento che un demone, un fottuto demone e non un indemoniato, non una cucuzza, non un ateo, non un deficiente, ma un demone balordo figlio di Lucifero e della gran bagascia di Babilonia mi si era avvicinato tanto da potermi sputare e sciogliere sul posto. Cosa avrei fatto? In che modo imbecille avrei potuto livellare? Con che lentezza esasperante?
    E il Doctor? Ci avrebbe cacciato di casa?
    E se i demoni fossero davvero in combutta con la Polizia? E se facessero una retata a casa Orsini?
    E se…

    Aracoeli, hai davvero bestemmiato? domandò non senza una nota di risata incredula Joseph. Realizzai solo a quel punto di aver nominato invano il mio Dio, il mio sublime, assoluto, altissimo Dio. E a inizio frase, cazzo.
    Non c’è problema! Ho spesso bestemmiato anche io e guardami adesso!<i> soggiunse quello, sperando forse di consolarmi, ma la cosa mi mortificò ancora di più.
    <i>Aracoeli, adesso cerca di passarti dell’acqua fredda in viso, metti i palmi sul lavandino e respira.
    incalzò Joseph.
    Misi direttamente la faccia sotto al rubinetto e quasi mi strozzai.
    Tossicchiai fuori dai polmoni l’acqua e quella sensazione così umana e sciocca mi aiutò a riguadagnare equilibrio. Mi girò la testa e afferrai la ceramica del lavabo.
    Fissai il mio riflesso: una donna dalla pelle secca, le rughe profonde e una bandana grigia in testa mi rispose con uno sguardo alienato. Le labbra erano crepate e nulla della fresca bellezza di Marisa era rimasta, se non gli occhioni da cerbiatta, cerchiati da profonde ombre, ma ancora troppo limpidi per avere davvero l’età che cercavo di mostrare. La pozione a base di erba cipollina di Cassandra era stata venefica, ma pareva che la mia ospite non si rassegnasse a lasciarmi campo libero.

    Adesso pensa con razionalità, Aracoeli! comandò il giocatore nella mia testa.

    Respirai a fondo. Chiusi gli occhi. Visualizzai di nuovo il volto del demone. Da qualche parte Marisa mi rispose con un ululato nei lombi.
    Per l’amor del Cielo, Marisa, basta con questo amore per i galeotti!

    Se anche quello fosse un demone, dubito onestamente che ti abbia scoperta. In primis perché, e sai che mi costa dirlo, sei stata brava con l’occlumanzia. Non ho mai visto occultare tanto bene un sole con un muro di tette, ma ci sei riuscita. In secondo luogo perché avrebbe di certo fatto qualcosa in più, se avesse sospettato davvero. I demoni non si fanno troppi problemi ad attaccare anche allo scoperto. Dalla sua avrebbe avuto la possibilità di una copertura per la sua vita di vagabondaggio. Ti avrebbe attaccato. Magari con una zaccagnata o una testata sui denti. Ma avrebbe fatto qualcosa. Ciò vuol dire che non ha la certezza che tu sia una pedina.

    Aprii di nuovo gli occhi. Inspirai. Espirai.
    Convenni con quella teoria.

    Pertanto, Aracoeli, questa in realtà è un’ottima occasione per osservare e spiare da vicino un demone. Non c’è margine di sconfitta: se non viene più alla mensa, puoi continuare a livellare tranquilla. Se torna alla mensa, puoi cercare di soffiargli qualche informazione extra, perfino fartelo amico.

    - Joseph, davvero, ti sembro un buon diplomatico? Io? Una che lavora di fino, di spionaggio? Andiamo, su! Non siamo ridicoli! - esclamai e quando mi resi conto di averlo detto ad alta voce mi girai di 180 gradi per vedere se ci fosse qualcuno.
    Aprii tutti gli stalli della toilette.
    Mi sporsi in corridoio.
    Nessuno.
    Tirai un sospiro di sollievo.

    Paladino, tu mi hai stupito. Non avrei mai tributato una così buona capacità di ritenzione delle informazioni in uno che normalmente strilla “Deus Vult!” in testa alla crociata. L’occasione è troppo ghiotta per sciuparla così. Naturalmente faremo in modo che tu non sia isolata rispetto agli altri. Potremmo coinvolgere Cassandra per avere più fuoco di copertura.

    Ricordai le sterpaglie e i roghi del lago di Bracciano, l’espressione atona di Cassandra e la sua ira fredda tramutata in esaltazione, come la mia.
    Mi sentii istantaneamente più protetta.

    Ne parleremo con D.I.O. e Miriam, e ovviamente con Giovanni d’Acquabianca e Maria Egiziaca, ma la mia proposta è questa. Tu te la senti?

    Ero stata un Messia. Una persona che indagava sulle identità di chi aveva accanto, di fronte, alle spalle, perfino tra i compagni. Mi ero cacciata in situazioni ben più pericolose, anche se all’epoca ero equipaggiata, in buona forma fisica, con armi benedette. Ma non ero nuova alle operazioni sotto copertura. E ammisi che quella tettocclumanzia era efficace.
    Mi sarei finalmente riscattata con quella missione ad alta tensione?
    E, d’altronde, avrei potuto perdere qualcosa nel caso in cui le cose fossero volte al peggio?

    Accetto. pensai, senza più ombra di riluttanza.
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    Era il quarto giorno di fila che mi sedevo a scartare lo stesso involucro. La forma familiare del panino fece capolino dalla pellicola trasparente: quel giorno mi sarei buttato sul salame e uovo.
    Diedi il primo, pigro morso, e il sapore dell’insaccato si diffuse sulle mie papille gustative.

    Questo vince sicuramente sul tonno. Tutto sommato, ho mangiato di peggio.

    Mentre la mia mandibola iniziava il suo movimento meccanico, alzai lo sguardo sulla zona distribuzione. La “vecchia” era lì, a passare panini e lanciarmi una malcelata occhiata furtiva ogni tanto.
    Ormai quella era diventata la nostra routine quotidiana: arrivavo, prendevo da mangiare e mi sedevo lì a consumare senza alcuna fretta; lei mi passava il panino, guardandomi con quell’espressione che era un minestrone di terrore, sospetto e rassegnazione. Dal secondo giorno aveva addirittura iniziato a rivolgermi qualche timida parola, ma se mi azzardavo a entrarle nella testa, TETTE.

    Ufficialmente ero ancora lì per trovare la madre di Marisa Fagiani - di cui ancora non avevo visto ombra – ma era quella strana vecchia che stuzzicava di più la mia curiosità, e non solo per il suo atteggiamento e apparente perversione. Avevo iniziato a farmi domande sulla sua stessa età: il volto era raggrinzito e rugoso, ma i movimenti erano quelli scattanti e nervosi della gioventù; i suoi occhi, poi, tradivano una limpidezza che mal si addiceva ad una persona un po’ più in là con gli anni.

    Ma era solo il giorno prima che avevo realizzato una cosa interessante.

    La sua mente pareva tappezzata di seni d’ogni forma e dimensioni ogni qualvolta che provavo a spiarla. Normalmente quel tipo di pensieri non avrebbe fatto altro che strapparmi una risata; non ero estraneo a eccentricità sessuali esagerate.

    Ciò che mi aveva fatto drizzare le antenne lo avevo visto con gli occhi. Tutte le volte che calava quel muro osceno, lei si paralizzava come un cervo che guardava nei fari di un’automobile, sul punto di essere investito. Nessun segno di eccitazione o prurigine; solo quell’immobilità, finché non mi staccavo.

    Mi ero fatto una certa idea sul cosa potesse essere in realtà.

    Ah, ecco che arriva.

    Confabulò coi colleghi, poi uscì da dietro al bancone. Si mosse nello spiazzo, salutando affettuosamente le facce familiari dei poveracci che vedeva più spesso. Poteva risparmiarsi la farsa; sapevo bene che veniva da me.

    Si piantò dietro e di lato rispetto a me, tossicchiando come per attirare l’attenzione. Mi voltai.

    «Tutto buono? Anche oggi nei paraggi?» mi guardava con occhi sgranati e un sorriso innaturalmente largo inciso in volto.

    È onestamente inquietante, e cazzo, io sono un demone.

    «Sì, buono, molto buono.» replicai nel tono più placido e bonaccione che potevo, mentre le mie labbra si incurvavano in un sorriso amichevole. «Per curiosità, dove hai imparato l’occlumanzia?»

    Mi uscì di bocca liscio come se stessi chiedendo l’ora; per quanto ero stato naturale, il mio vicino di panchina nemmeno ci fece caso. O forse era solo rintronato per la fame.

    Lei invece rimase congelata, a parte per la bocca che si aprì e richiuse con un movimento che ricordava la marionetta di un ventriloquo.

    Eheh. Non basta qualche tetta per farla in barba a Brador.

    «Continuiamo dopo mangiato.» conclusi io al posto suo, e mi girai di nuovo per addentare il mio panino.

    Mi presi tutto il tempo necessario per gustarlo a fondo; dopotutto non avevo alcuna fretta. E dovevo ammettere che vedere la poverina struggersi per l’ansia era alquanto divertente.
    Una volta finito mi alzai dalla panchina, voltandomi per lanciarle uno sguardo eloquente da sopra la spalla. Tanto per sicurezza, tesi verso di lei un innocuo tentacolino di coscienza.

    TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE

    Perfetto, ha capito.

    Mi allontanai dallo spazio coperto dalla tettoia, attirando la mastofila lontana da occhi indiscreti. Non c’erano angolini in disparte in cui appartarsi, ma battere in ritirata da orecchie estranee sarebbe stato un inizio.
    Dopo una cinquantina di metri mi fermai. La “vecchia” era ancora alle panchine, probabilmente cercando di rendere la sua pantomima più convincente; la vidi poi sparire di nuovo dietro al bancone. Aveva ricominciato a distribuire panini.

    Maledizione, donna. Non farmi aspettare, qua fa freddo.

    Passò qualche minuto prima che uscisse nuovamente allo scoperto, stavolta sprovvista dei guanti di plastica che aveva indossato fino a quel momento.
    A passetti rapidi e nervosi, veniva verso di me. Rimasi a fissarla con un immutabile sorriso sul volto. Ormai era vicina. Aspettai che prendesse lei l’iniziativa.

    «Cosa ti importa di dove e come ho imparato l'occlumanzia?» scattò lei. Pareva proprio che il mio continuo stuzzicarla l’avesse resa aggressiva. «So farla e basta.»

    «Curioso. Non conosco nessuno che sappia come mascherare la mente, o che tantomeno ne senta il bisogno.» cantilenai io. «O forse ti piacciono solo davvero tanto le tette?»

    Niente domande. Sembrava che parlare premesse più a lei che a me, quindi le avrei lasciato fare.

    «E tu dove hai imparato a entrare nella mente delle persone? Sai che è maleducazione? Di solito si bussa.»

    Sospirai. «Ho capito, ho capito. Basta prese in giro. Quindi? Come mai tutta questa fretta di parlarmi?» mi costrinsi a tenermi in gola il “sono forse il tuo tipo?” che scalciava per uscire.

    «Beh, sai, mi piace sapere che cosa spinge qualcuno a cercare a tutti i costi di entrarmi in testa. Sei forse gerontofilo?»

    Vecchia bagascia. Qui sono io quello che legge nei pensieri.

    «Oh, è solo un mio brutto viz-»

    «Sei per caso un demone?» vomitò fuori lei senza nemmeno lasciarmi finire la battuta. Immediatamente dopo vidi la pelle rugosa del suo viso deformarsi in un misto di colpevolezza e sgomento: ero molto tentato di scoprire cosa le passava per l’anticamera del cervello, ma non volevo certo abbassare il tenore della conversazione con immagini volgari.

    Intanto, quelli che nella mia testa finora non erano stati che puntini sbiaditi stavano iniziando a tracciare un disegno piuttosto chiaro.
    Sapeva rendersi conto di quando qualcuno irrompeva nella sua mente.
    Sapeva usare l’occlumanzia, per quanto in maniera molto rudimentale.
    E infine, quell’assurda domanda forse provocatoria, forse no.

    «Non saprei.» mi tastai le tempie con una mano, come a cercare qualcosa. «Tu vedi corna? Io...»
    Questa volta fui io a fermarmi. Le squadrai la fronte: era coperta da un berretto di lana blu. Poteva non voler dire nulla, dopotutto era novembre; tuttavia, non potei fare a meno di insospettirmi.

    «Quindi il tuo hobby è entrare nella testa delle persone? Straordinario. E nel weekend che fai? Impali la gente? Che passatempi inconsueti.» sembrava essersi ripresa dalla gaffe commessa, ignorando del tutto l’argomento demoniaco.

    «Oh, dai, era una semplice battuta. Basta pizzicarci, sono solo un povero barbone che non ha di che o dove vivere. Per questo mi chiedevo come mai tanto interesse.»

    «Un barbone con poteri preternaturali. Ripeto che è inconsueto. Sei scappato dall'Area 51?»

    «Un bel giorno mi sono svegliato in un vicolo, coperto di lividi e sangue e con tutte le ossa doloranti. Non ricordo nulla di quel che è successo prima, ed ora eccomi qua.»

    Non è del tutto una menzogna, in fin dei conti.

    «Uno dei redivivi che ultimamente sono sbucati in giro a Roma?» inclinò il capo, avvicinandosi a me con un’occhiataccia inquisitoria.

    «Redivivo? Io direi più sopravvissuto a un qualche spiacevole incidente.» tagliai corto io con un’alzata di spalle. «Tu, piuttosto, ancora non mi hai spiegato da dove hai imparato l’occlumanzia.» se lasciavo che la discussione procedesse per sarcasmo e prese per i fondelli, non sarei arrivato da nessuna parte, Dovevo rassegnarmi a fare qualche domanda.

    «Ho frequentato per breve tempo una conventicola di Evangelici. Sai, hanno questo concetto dell'invasamento dello Spirito Santo che a me fa storcere il naso.»

    Sobbalzai. Evangelici?
    Mai come in quel momento avrei desiderato entrarle nel cervello per saperne di più.

    «Beh? Che ho detto?» si era accorta del mio piccolo scatto.

    Attento! Non lasciarti sfuggire nulla...

    «Nulla di sconvolgente. Perché?» non vedevo modo di cavarmene fuori senza causare ulteriori sospetti, quindi dissimulai.

    «Hai il singhiozzo?»

    Feci fare un salto al diaframma, simulando uno scatto simile al precedente. «A quanto pare. Avrò ingurgitato il panino troppo in fretta.»

    «Oh, allora ti vado a prendere una bottiglia d'acqua.» girò sui tacchi e tornò verso la mensa, lanciandomi uno sguardo inequivocabile: aveva scritto in fronte che non si era bevuta una parola di quel che avevo detto. La sensazione era reciproca.

    “Hai già parlato troppo, Brador. Ora dovresti strapparle tu qualche risposta.”

    La voce del mio padrone mi rimbombò nella mente. Ultimamente si faceva sentire piuttosto di rado; probabilmente era occupato a monitorare le indagini dei miei colleghi.

    Sì. Credo sia il caso di giocare al suo stesso gioco.

    “Fai del tuo meglio, ma ricorda che sei in ricognizione. Non lasciar trapelare chi sei davvero.”

    Era il momento di passare al contrattacco. dovevo scoprire, o almeno farmi una ragionevole idea, se quella donna fosse una pedina avversaria. Metodi più diretti, che avrebbero svelato la mia natura infernale, erano fuori discussione: se era davvero un Messia, non avevo idea dei poteri che poteva celare. Per quanto ne sapevo, la sua audacia nello stabilire un contatto con me poteva essere dovuta al fatto che contasse su rinforzi nei dintorni.

    Eccola che torna.

    Si avvicinava, e stavolta la paura sul suo volto era scomparsa, o quantomeno celata. Al suo posto troneggiava un sorrisetto sornione mentre teneva una bottiglina d’acqua tesa davanti a sé, in bella mostra.

    «Spero che questa terrà a bada il tuo diaframma impazzito.» quel ghigno furbesco non accennava a cadere dalle sue labbra. Presi la bottiglia di plastica dalla sua stretta, svitai il tappo e feci un lungo sorso senza rompere il contatto visivo con lei.
    Finii, staccai le labbra e riavvitai.

    «Ne sono certo.» risposi asciutto. «Quindi, dicevi che avevi frequentato degli Evangelici? Com’era?»

    «Rumoroso.» risposta secca quanto il Sahara.

    «Rumoroso.» ripetei io. «Suonavate la batteria in chiesa?»

    «Diciamo che in certi momenti la gente rotolava per terra e parlava in aramaico.»

    Ohoh, fidati che questo lo so molto bene, mia cara.

    «Che siete, posseduti?» mi fermai per un respiro, «Tarantati?»

    Stavolta fu lei a rinculare visibilmente. Sogghignai.

    «Singhiozzo?» le porsi la bottiglia.

    Senza dire una parola, me la strappò dalle mani e trangugiò il contenuto fino all’ultima goccia; non sapevo se per disperazione o ripicca.

    «Deve essere il freddo. Il diaframma si infiamma e poi viene il singhiozzo.» il suo tono era tanto gelido da farmi desiderare un giubbotto più pesante.

    «Eh già. Brutta bestia questo clima. Però direi che il cappellino di lana è esagerato.» feci cenno con il capo verso il suo berrettino.

    «Soffro di cervicale e reumatismi. Se non mi copro almeno la fronte, rischio una sinusite che mi farebbe parlare “biuddosdo bale”.»

    «Aaah, capisco. E dire che dimostri molti meno anni di quanti ne avrai in realtà, peccato per gli acciacchi.» ridacchiai sotto i baffi, senza curarmi di nasconderlo.

    «ADULATORE!» esclamò lei portandosi le mani alle guance. A voce un po’ troppo alta per i miei gusti.

    Quegli scambi di battute erano sicuramente divertenti, ma non mi stavano portando molto lontano. Lei però stava iniziando a rilassarsi: forse, con un po’ di fortuna, potevo aggirare la sua occlumanzia in maniera poco traumatica.
    Feci strisciare un vermicello di pensiero dentro la sua testa, tentando l’approccio più delicato e furtivo possibile. Doveva essere ancora distratta, poiché non si accorse immediatamente dell’intrusione.

    “...fossi in grado di sembrare civettuola...”

    Ebbi giusto il tempo di sentire quelle parole, chiare anche senza il filtro dell’interpretazione che di solito mi toccava fare, prima che nella sua mente calasse un silenzio di tomba e...

    TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE TETTE

    Me ne vado, me ne vado, va bene!

    Tornai alla realtà. La mia interlocutrice era rossa in volto, e di certo non per imbarazzo: quella era furia.

    Ops.

    Mi aspettavo che mi lanciasse qualche epiteto, o che si voltasse di scatto per allontanarsi; di certo non potevo prevedere che mi si scagliasse contro.

    «Stai! Fuori! Dalla! Mia! Testa!» scandì - urlando - ogni parola mentre con una mano mi strattonava per il bavero e con l’altra mi percuoteva con la bottiglia di plastica vuota.
    Non faceva propriamente male, ma la sorpresa mi rese momentaneamente incapace di reagire.

    Cazzo, cazzo! Così ci facciamo beccare!

    Tesi entrambe le braccia in avanti per tenerla a distanza; era più minuta di me, ma l’ira doveva averla resa molto più forte del normale perché mi ci vollero non pochi sforzi per staccarmela di dosso.

    Quando finalmente riuscii nell’intento, lei fece un passo indietro e mi fissò con rabbia, ansimando per l'esplosione di energia improvvisa.

    «Credo sia meglio se oggi ci fermiamo qui, eh?»

    Non mi rispose. Si limitò ad una smorfia feroce sollevando un angolo delle labbra, per poi tornare verso la mensa a passi pesanti.

    Mi affrettai anche io a levare le tende; non intendevo restare per scoprire se qualcuno avesse notato il nostro alterco.
    La conversazione in generale mi aveva insospettito, ma quella sortita finale nella sua mente non aveva fatto altro che consolidare i miei dubbi: era molto improbabile che la voce interiore che avevo sentito fosse la sua. Era una voce maschile.

    Potrebbe essere che si identifica come un uomo, o ha personalità multiple. O forse è solo pazza, il che spiegherebbe molte cose.

    "O forse è un messia, e tu non hai fatto altro che fornirle informazioni...” Mi apostrofò Azmarkov. Lo scambio con una possibile pedina della trinità doveva aver riportato la sua attenzione su di me.

    Possibile, ma ha avuto tre giorni per venire qui con i compagni e togliermi dai giochi: Se non l’ha ancora fatto, il che vuol dire vuol dire che non vogliono o non possono ancora attaccare. Comunque sia, farei meglio a essere più cauto da oggi in poi.”

    ”Per ora ritirati da Magdalena e condividi le tue scoperte. Da lì deciderete se vale la pena continuare queste sortite alla mensa.”

    Per una volta concordavo con il mio superiore. Tanto per sicurezza avrei vagato per un po’ tra i vicoli in zona per assicurarmi di non essere pedinato, poi sarei tornato alla tana, preferibilmente col favore delle tenebre.

    Agli ordini.

    Mi lasciai alle spalle il vasto complesso di Termini, addentrandomi nel ventre della Città Eterna. Dopo l’accesa discussione con la mia amica , l’intima tranquillità delle stradine secondarie e terziare era un toccasana.
    Dovevo ammettere, però, che non mi sarebbe dispiaciuto tornare a parlarci, Messia o meno che fosse.

    È stato... stimolante.
     
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